LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU DEVI SAPERE CHE IL MITO E' UN DISCORSO BASTARDO"

creata il 21 luglio 2011 aggiornata il 30 luglio 2011

 

 

Che cos’è la mitologia?

Le mitologie sono narrazioni.
Il loro regno è quello della verità narrativa, non argomentativa. Le prime narrazioni mettono a tema l’essere e il divenire dell’uomo e dell’universo. Il loro punto caratteristico è la mancanza di chiarezza, condizione che si riflette nella mancanza di riproducibilità; infatti, i miti si riproducono regolarmente in varianti sempre diverse in ogni cultura. Nella misura in cui accoppiano sapere a ignoranza, i miti sono costruzioni simboliche, direbbe Jung, che nei miti vedeva una profondità che non hanno. Infatti, i miti sono narrazioni concepite quando non è ancora ben chiara la distinzione tra ontologia ed epistemologia. Il mito dice la verità, quando ancora il narratore non sa di che verità sta parlando. L’aggettivo appropriato per classificare il genere letterario mitologico è lo stesso che ­nel Timeo (XVIII, 52b), il suo dialogo mitologico per eccellenza, Platone usò per qualificare la terra di nessuno tra essere e non essere, tra essere e divenire, tipicamente il ragionamento informale sulla materia e sullo spazio, che è di per sé informe, cioè non determinato da nessun eidos. La mitologia è, in questo senso, un incrocio “bastardo” (nothos logos) (0) tra essere e sapere, una forma discorsiva terza (mésos) tra ontologia e epistemologia, tra sensibilità e intellettualità, con poco di entrambe, tanto quanto va bene al padrone che ha favorito le nozze. Nozze prolifiche in verità.

Il periodo di maggior fulgore della mitologia è, ovviamente, l’epoca prescientifica, quando il sapere si confonde con l’essere e l’essere assume forme immaginarie (1). Ma anche agli albori dell’epoca scientifica nascono miti. Allora si tratta di miti particolari; sono, come sempre, narrazioni a tema, ma mettono a tema un argomento specifico in precedenza trascurato: proprio il sapere. Sono pochi, soltanto due, i miti moderni: il Faust e il don Giovanni. Il primo mito rappresenta la riappropriazione da parte del soggetto del sapere alienato nelle mani dell’altro, simbolizzato dal diavolo (2); il secondo mito mette in scena l’esercizio del sapere pratico su come è fatto l’altro per antonomasia, cioè la donna, senza per altro acquisirne altra esperienza che quella della vana ripetizione, come testimonia il catalogo di Leporello.

L’attaccamento alla mitologia ha una sua patologia ; si manifesta come resistenza alla transizione dall’ontologia all’epistemologia. Questa patologia è la malattia professionale del teologo. “Il teologo deve amare i miti”, diceva Raimon Panikkar, come dire che l’umanista deve amare l’antropomorfismo. Grazie ai poteri conservatori della casta sacerdotale, che ha gestito finora i riti derivanti dai miti, la mitologia ha oggi assunto la forma della nostalgia patologica – tipicamente tra gli psicanalisti in Jung – che si esplica per lo più come fissazione all’ontologia. La melanconia, che ricorre nelle incisioni del Dürer, è rappresentata come donna – l’ontologia – accasciata accanto a un poliedro semiregolare sotto un quadrato magico (3); simbolizza la fissazione al mondo passato, da poco perduto, dei cari vecchi tempi ontologici, quando si poteva dire con certezza e determinazione che l’essere è e il non essere non è.

Dürer

La Fixierung di cui parla Freud e da lui posta come condizione logica della Urverdrängung, o rimozione originaria, ha questa giustificazione nella storia del pensiero. (Cfr. S. Freud, Die Verdrängung (1915), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. X, Fischer, Frankfurt a.M 1999, p. 250).
Il rivolgersi di Freud alla mitologia è un artefatto, prodotto dall'impostazione enigmistica della sua ricerca. In generale, il mito non spiega nulla. Il mito parte dall’enigma e lo traveste metaforicamente, cioè crea intorno all’enigma una storiella con pretese esplicative. Ma le pretese restano pretese. Il mito conserva tale e quale l’enigma. Traspone i termini ma li conserva tali e quali sotto altre spoglie. La spiegazione mitologica è apparente. Per il bambino l’enigma è cosa fanno i genitori in camera da letto. Freud spiega l’enigma infantile con il mito di Edipo. È una metafora, diceva Jung, facendo incazzare Freud. Ma aveva ragione Jung. Il mito è una la metafora di scarso valore epistemico. Il mito, prodotto dall’enigma, non spiega l’enigma. Nel migliore dei casi lo prolunga. Allunga il brodo, il mito. Mito ed enigma sono legati a doppia mandata. Si esce dal mito solo abbandonando l’atteggiamento enigmistico. In epoca scientifica, “l’enigma non esiste”, diceva Wittgenstein (Das Rätsel gibt es nicht, Tractatus logico-philosophicus , 6.5, corsivo dell’autore). Ergo, il mito è sostanzialmente inutile – pura esercitazione letteraria. Che tuttavia politicamente inutile non è, fissando le linee dell'ordinamento sociale.

Nella difficile transizione verso il discorso scientifico traspare la reale natura del discorso ontologico. Lo si vede con particolare evidenza nei miti imposti alla civiltà come miti di fondazione. Lì l’ontologia si rivela per quel che è: fondamentalmente il discorso del padrone, cioè di chi che ha il potere politico. È, infatti, il padrone – in termini freudiani il Super-Io – che decide cosa uno è e, attraverso la narrazione mitologica e attraverso i riti che la traducono in realtà sociale, impone a uno come deve essere. Il padrone ti impone di vivere ritualisticamente il suo mito, facendoti credere che sia tuo. Si chiama alienazione. Di conseguenza l’ontologia esclude la democrazia. L’essere non si discute. Come la legge, è uguale per tutti. Non è oggetto di voto, letteralmente di desiderio privato, né di votazione, letteralmente di scelta pubblica. Il desiderio e la democrazia sono possibilità che fanno capolino solo con la “libertà di filosofare intorno alle cose del mondo” (Lettera di Galilei a Cristina di Lorena, 1615). L’ontologia ammette solo la monarchia o, al più, l’oligarchia. Semplificando molto, l’ontologia consente solo il pensiero e l’azione religiosi. Per la libertà ripassate domani. Ditelo ai filosofi che si sono adoperati per rendere i Galilei, i Cartesio e gli Spinoza non avvenuti. Ditelo agli ontologi tipo Leibniz, Wolff, Kant e a tutti gli altri del coro.

Oggi la mitologia fa ritorno per il rotto della cuffia epistemica, là dove si invoca il senso del mistero e della meraviglia, quindi di soggezione all’universo e a chi lo governa, che suscita in noi l’essere al mondo. La forma meno fanatica di questo ritorno, la forma che meglio scimmiotta l’andamento del discorso scientifico, è quella che propone il senso dell’enigma. In termini moderni, non si parla di enigma ma di problema; l’arte che tratta i problemi non è propriamente la scienza ma il problem solving. È, al fondo, una pratica ermeneutica, che stimola l’elucubrazione indiziaria e mira alla ricostruzione di storie verosimili, che stanno sotto la realtà apparente dei fenomeni. L’interpretazione porta alla luce la storia latente e l’interprete viene applaudito come uomo di scienza. È l’eterna e mai morta storia delle congetture che vengono confermate, che sta alla base di tutti gli insediamenti dottrinari all'interno delle scuole. (4) L’esempio più vicino allo psicanalista è il mito edipico freudiano, di cui Freud trovava indizi dappertutto nella vita del soggetto, al punto che davanti a lui non si poteva dire un numero a caso senza che Freud risalisse alla causa di tutto il determinismo psichico: il desiderio di scopare la madre e uccidere il padre.
Sì, i miti sono TUTTI rigorosamente deterministi. Spiegano tutto e il contrario di tutto per filo e per segno nel nome del più rigoroso determinismo. Ma, da quando è diventata meccanicistica, la scienza ha chiuso con il determinismo. Lo lascia alle pratiche del diritto e della medicina, giusto per trovare il colpevole del delitto o l’agente morboso della malattia.

Un antidoto alla mitologia?

Far crescere lo spirito scientifico, far decadere la superstizione astrologica nel determinismo, fino a che non si raggiunga quel livello di saggezza che ora è appannaggio delle religioni e di certe forme di umanesimo. Ma non dobbiamo farci illusioni. La saggezza scientifica è un frutto ancora acerbo. Io non ne mangerò ancora. Quattro secoli non sono bastati a farlo maturare a confronto dei cinque millenni (o più) in cui il discorso religioso ha tenuto saldamente in mano le redini del potere.
Cosa posso anticipare di questa futura saggezza?
Difficile dire; di certo prima ancora che diventare una saggezza definitiva sarà una prudenza intellettuale; non sarà categorica, tanto meno fanatica, facendo tuttavia prevalere il noi sull’io, la democrazia sull’oligarchia. Detto nel mio slang, sarà una saggezza che non avrà bisogno di maestri per attecchire e imporsi. I maestri vanno bene per raccontare miti. La saggezza scientifica si limita a preferire le argomentazioni alle narrazioni. Sono più democratiche.

E il mito non finirà mai?

Certo che no. Il mito continuerà a nutrire il filone letterario del romanzo che, guarda caso, non esisteva nell’antichità. L’antichità aveva i miti, quindi non aveva bisogno di romanzi per raccontare la verità. I primi romanzi vengono concepiti in epoca moderna dai Rabelais e dai Cervantes, preceduti da novellieri come Boccaccio. Sono loro che annusano il cambiamento del vento, quando l’ontologia comincia a cedere il passo all’epistemologia e la verità comincia a preferire l’argomentazione alla narrazione. Chi non si è ancora accorto che il clima è cambiato è il filosofo. Il filosofo, a servizio del padrone, resta fissato all’ontologia. E continua a raccontarci le sue storielle sull’essere che appare nelle radure del bosco come un coboldo della mitologia nordica. Sono storielle non prive di un certo valore in quanto, essendo narrazioni, danno l’illusione che esista il tempo. Cominciano sempre così: “C’era una volta…”

Concludo brevemente questa pagina come l'ho aperta. In più aggiungo una raccomandazione politica. La mitologia è un discorso "bastardo". Non ci sono più molti dubbi, credo. Ma come si tradurrebbe in termini moderni, meno antropomorfi, la stessa affermazione?

C'è un termine tecnico per dirlo, che ricorre in più punti di questo sito.

La mitologia è un discorso "non categorico".

La mitologia tratta nozioni che non sono riassumibili univocamente in un concetto ben determinato: tratta della vita, della paternità, della femminilità, dell'inconscio e di altro per cui il soggetto vive la propria vita senza poterla dominare completamente. Ma parzialmente sì. Della vita, della paternità, della femminilità, dell'inconscio si possono dare diversi modelli diversi. Ciascuno adotta il suo. Ma sarebbe bene che nessuno imponga il proprio modello agli altri. Per logica, prima che per senso della democrazia: giusto perché una nozione non categorica non ammette di essere costretta dentro un solo modello.

In generale, la mitologia esprime la volontà di ignoranza dei soggetti, in nome della preminenza del mistero nella vita individuale (mito personale) e collettiva (mito sociale). Una scienza dell'ignoranza come la psicanalisi non può trascurare la mitologia, magari senza farne oggetto di predilezione Riprendo l'argomento all'aggiornamento della pagina

Modello di scienze dell'ignoranza.

Note

(0) Kant usa la stessa terminologia di Platone nei Prolegomeni ad ogni metafisica futura a proposito dell'analisi di Hume del principio di ragion sufficiente, da er doch nichts anders ein Bastard der Einbildungskraft sei (1783, Prefazione; "che non sarebbe altro che un figlio bastardo della forza dell'immaginazione"). La coincidenza terminologica, pur a tanti secoli di distanza, tra Platone e Kant, il primo in riferimento alla mitologia, il secondo in riferimento all'eziologia, non mi sembra casuale. Infatti, la materia prima dei miti prescientifici è costituita dal coacervo delle relazioni di causa ed effetto tra fenomeni. Il mito della causa è anche la causa della diffusione del mito, inteso come scienza falsa o immaginaria. (Torna su)

(1) Certamente arbitrarie, ma secondo l’arbitrio di chi? Vedi oltre. (Torna su)

(2) Curioso! Il diavolo è noto come il mentitore per antonomasia. Come fa nel mito di Faust a possedere del sapere? Sarà un sapere falso, il suo, o un sapere del falso? Probabilmente vale la seconda alternativa. Infatti, l’avventura scientifica, di cui il mito di Faust rappresenta i primi passi, è tutta una lotta per strappare il sapere al falso, falsificando le false congetture. Nel mito di Faust il diavolo rappresenta il falso maestro; simbolizza il fatto che il nuovo sapere scientifico non ha bisogno di maestri per costruirsi; la verità del mito è che d’ora in poi tutti i maestri sono falsi. (Torna su)

(3) Cos’ha di magico un quadrato magico?
Ben poco. Un quadrato magico 4x4 è una disposizione in tabella di sedici numeri interi che danno somma costante (pari a 35) se sommati per righe o per colonne o in diagonale. Esso risolve un sistema di dieci equazioni (4 righe + 4 colonne + 2 diagonali) in sedici incognite; nel campo dei numeri reali il sistema è a priori o impossibile (zero soluzioni) o indeterminato (infinite soluzioni); ma diventa possibile e relativamente determinato nel campo dei numeri interi. La magia è tutta lì: nel passaggio dall’impossibile al possibile e dall’indeterminato al determinato. Un determinismo relativo, si badi. Nel 1663 Frenicle de Bessy, amico di Cartesio e di Fermat, i geni matematici della modernità, calcolò che i quadrati perfetti, cioè formati dai numeri compresi tra 1 e 4x4, sono 880. 880 è diverso da 0 ma soprattutto è diverso da infinito. L’infinito – oggetto orripilante per gli antichi – è di nuovo proscritto dalla magia del quadrato. La Melanconia può continuare a meditare sull’oggetto di cui ha nostalgia: l’oggetto finito, che la modernità ha sostanzialmente perduto. Dürer la rappresenta pensosa mentre sta calcolando uno degli 880 quadrati magici 4x4. Potrebbe stare risolvendo un moderno Sudoku. Dürer non ha colto la novità della scienza moderna, che a differenza della scienza antica non è enigmistica. (Torna su)

(4) Le congetture non si possono confermare ma solo confutare. (Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SAPERE IN ESSERE

SAPERE IN DIVENIRE

Torna alla Home Page